Sull’inesistenza di Bielefeld e più
cose importanti
di Giovanni Canino
- filoegokosmosofo -
PROLOGO
Se le ultime parole sono le più importanti poiché rimangono incise nella mente, sono quelle che chiudono un ragionamento, offrono risposte, soluzioni, domande, dubbi, conferme oppure nulla, potendo alterare il futuro, il modo di pensare o di sentire la realtà spingendo in una direzione o in un’altra o perdendosi per sempre nell’oblio della memoria, allora le prime parole sono le più difficili da scegliere perché esse devono essere la forza che genera l’impulso a continuare, ad andare avanti, devono generare la voglia di sapere dove si arriverà alla fine di tutte quelle lettere una dopo l’altra, devono stimolare l’interesse di conoscere le ragioni che potrebbero essere quelle giuste che si stavano cercando, devono attizzare il fuoco della ragione senza scatenare un devastante incendio in cui tutto finisce perduto.
L’impresa da realizzare è ardua, la dimostrazione dell’inesistenza di Bielefeld fornendone prova esaustiva, nonostante sia l’acme dello sviluppo di uno scherzo, non è essa stessa sicuramente uno scherzo.
Ad ausiliarci lungo il percorso verso quella che pare una meta impossibile da raggiungere saranno gli strumenti della ragione, ogni idea e ogni ragionamento dovranno essere chiari e distinti, non dovranno lasciare spazio a dubbi od ambiguità. Ognuno che ci seguirà alla fine dovrà pensare che: allora è vero, Bielefeld non esiste.
Bielefeld, alla fine di questo scritto, con la sua inesistenza comprovata, non sarà meno di quello che era prima, sarà la stessa e poi sarà di più, perché un nuovo significato si legherà al suo nome.
Per stuzzicare la curiosità che è il grande motore della conoscenza, sbirciando la mappa di questo intrepido cammino, posso dire che partendo da Bielefeld per arrivare alla dimostrazione dell’inesistenza di Bielefeld, intorno a noi percepiremo l’inesistenza di Berlin, di Roma, di Paris e di ogni altra città.
È importante chiarire rispetto al caso specifico di Bielefeld che è stato l'impulso generante la stesura di questo impromptu filosofico che se si afferma l'esistenza delle città allora anche una città cosiddetta finta esiste. Un set teatrale o cinematografico con tutte le sue scenografie, le sue comparse, le sue auto con targhe finte, i suoi telefoni fasulli, fosse fatto anche di cartapesta, sarebbe un insediamento umano tanto quanto Tokio, e se l'una esiste allora l'altro pure. Per dimostrare che Bielefeld non esiste l'unica strada da percorrere è quella di dimostrare che tutte le distinte città non esistono.
Con l’inesistenza di Bielefeld sarà quindi dimostrata l’inesistenza di ogni altra città e a guidarci in questo non sarà l’antica frase latina ‘commune naufragium omnibus solatio est’ perché intorno a noi la dimostrazione dell’inesistenza non lascerà rovine o distruzione, né della realtà, né del pensiero, ma costruirà un nuovo modo di comprendere il mondo, senza forse, migliore.
Forse per una strana coincidenza nel destino di Bielefeld uno dei suoi primi cittadini illustri, se non il primo, fu un filosofo, Johann Christoph Hoffbauer, Johann è lo stesso nome, nella sua versione tedesca, di quello di colui che dimostrerà l’inesistenza di Bielfeld, anche con l’ausilio di molta filosofia.
ESISTERE O NON ESISTERE, QUESTO È IL DILEMMA
Non è sufficiente utilizzare la reductio ad absurdum di Γοργίας per dimostrare l’inesistenza di Bielefeld e di tutte le altre città. Nulla è, secondo l’antico filosofo, ed è vero che un non essere non può esistere, ma prima di andare avanti dobbiamo comprendere la fondamentale differenza che esiste tra essere e esistere, tra essenza ed esistenza. Credo non sia necessario qui addentrarci troppo e rischiare di perderci nei labirinti ontologici per capire questa differenza, ma semplicemente comprendere i puri significati delle parole che usiamo.
L’essenza è ciò per cui una certa cosa è quello che è, e non un'altra cosa, è ciò che determina la natura di una cosa.
L’essenza è l’universale natura delle singole cose appartenenti al medesimo genere o specie, è ciò che determina ciò che realmente è. All’essenza, che è permanente, si contrappone l’accidente; l’accidente indica una singola determinazione contingente, variabile, che nonostante appartenga ad una cosa, non ne costituisce la natura.
L’esistenza deriva dall’essere, in latino due parole si sono incontrate e hanno dato il nome che qui usiamo a questo concetto, “ex”, che significa da, dopo, a causa di, che indica un’origine e il verbo “sto, stare”. L’esistenza è il manifestarsi contingente dell’essere, la relazione è chiaramente subordinata, tutto ciò che esiste, necessariamente è, ma non tutto ciò che è, necessariamente esiste.
L’esistenza è un accidente dell’essenza ed è l’accidente comune di tutta la realtà percepita. L’esistenza sta alla base, sostiene la realtà percepita, da qui il poterla chiamare anche sostanza.
Per dimostrare l’inesistenza di Bielefeld non vi spingerò tra le braccia di uno scetticismo estremo, non ci sarà il Genio maligno di René Descartes a ingannarvi, né proverò a convincervi che il vostro cervello si trova in una vasca dove riceve impulsi che gli fanno credere che un’illusione sia la realtà. Non so evocare demoni e non ho le necessarie abilità neurochirurgiche, almeno per ora, per poter asportare un cervello, ma soprattutto ritengo che utilizzando stratagemmi del genere questo non sarebbe più un gioco corretto.
Confonderci nel mondo dell’illusione, dell’inganno creerebbe soltanto un’impasse intellettuale, nessuna certezza di poter smentire, nessuna certezza di avere ragione. Qui non si vuole cospirare con demoni o pazzi chirurghi, e non fatelo a casa da soli perché sembra alquanto pericoloso, qui si cerca la verità, quella verità che anche se non impone di tacere alle bocche degli stolti, almeno ci libera dalla tentazione di ascoltare il loro canto.
Cos’è Bielefeld? Bielefeld è il nome proprio di un luogo o, volendo essere meno precisi, è una città. In questa dimostrazione per non lasciare alcun dubbio sull’inesistenza di Bielefeld analizzeremo entrambe le ipotesi.
Luogo è una parte di spazio idealmente o materialmente delimitata. Villaggio, città, metropoli, ed altre possibili variazioni, sono tutti termini che indicano un insediamento umano. Parole diverse vengono usate in base a strambe regole o a non chiaramente definite variazioni di dimensione. In questa dimostrazione useremo il termine città per indicare genericamente ogni tipo di insediamento umano. Cos’è una città? Storicamente considerando l’Urbe e la leggenda della sua nascita possiamo costatare che per definire la città di Roma furono sufficienti due persone, di cui uno morto quindi riducibile a un singolo individuo, e il solco di un aratro per delimitare qualcosa, nello specifico il Colle Palatino. Con base in questo possiamo con sicurezza qui affermare che affinché ci sia un insediamento umano è necessario solo un essere umano e uno spazio delimitato, il morto è superfluo, accidentale, sarebbe bene evitarlo.
In una dimostrazione che abbia per oggetto un insediamento umano può essere applicato senza incorrere in errore un principio di induzione simile a quello utilizzato in matematica. In sintesi, non importa quanti esseri viventi o cose fisiche si aggiungano o si rimuovano, la dimostrazione varrà sempre in tutti i casi.
Cominciamo il cammino di questa dimostrazione addentrandoci nella selva oscura di cosa sia il nome proprio di una città, come Bielefeld.
Senza immischiarci troppo nell’incompleta diatriba ontologico-linguistica sui nomi propri, cerchiamo di estrarre da essa alcune preziose conoscenze da aggiungere come gemme al tesoro del nostro sapere.
Nella visione di Frege-Russell - la teoria descrittiva dei nomi (descriptivist theory of proper names) - i nomi propri sono abbreviazioni di descrizioni definite. Cosa significa questo? Significa che chi usa un nome proprio in realtà lo usa come abbreviazione di un definito insieme di proprietà che si vuole utilizzare per determinare uno specifico oggetto. Ad esempio, chi usa il nome proprio “Rio Amazonas”, quando lo fa con esso si sta riferendo ad un determinato insieme di proprietà, variabile in base alle conoscenze, che potrebbero essere del tipo “quel corso d’acqua che nasce nella Cordigliera delle Ande in Peru e sfocia in Brasile nell’oceano Atlantico” o “quel corso d’acqua lungo 6400 km”.
Nella visione di Saul Kripke - The Causal Theory of Proper Names – e di chi segue la teoria causale dei nomi propri, un nome proprio è un designatore rigido, ossia, designa lo stesso oggetto in tutti i mondi possibili, nei quali quell’oggetto esiste e mai designa qualcos’altro. In questa visione i nomi propri non implicano alcuna conoscenza di un definito insieme di proprietà ed assomigliano nella loro natura ai dimostrativi e ai pronomi.
Dirimere la controversia linguistica è fuori dallo scopo di questa dimostrazione. Qui semplicemente sarà dimostrato come il nome proprio geografico di insediamento umano abbia delle caratteristiche esclusive e come, tenendo conto o dell’una o dell’altra teoria, possa essere dimostrato che in ogni caso non esiste.
Iniziamo il lavoro partendo da Bielefeld, una città, un insediamento umano comune, analizzeremo i casi limite del più piccolo e del più grande insediamento umano successivamente.
Secondo la teoria descrittiva si dovrebbe essere capaci di trovare un definito insieme di proprietà che descrivano l’oggetto. Analizzando con attenzione si può notare che nell’insieme di proprietà, in mezzo agli accidenti, deve essere sempre presente l’essenza dell’oggetto.
Tornando all’esempio del “Rio Amazonas”, senza ignorare che il nome proprio si riferisce ad un complesso ecosistema, la proprietà che ne definisce l’essenza è quella di essere un corso d’acqua. Rimossa l’acqua, il “Rio Amazonas” smette di esistere. Rimuovendo l’essenza della roccia dell’Everest, esso smetterebbe di esistere. Considerato qualsiasi essere vivente, con nome proprio o meno, si può facilmente capire che la fine della sua vita implica la fine della sua esistenza. Romolo, uccidendo Remo, pone fine alla sua esistenza ed un cadavere comincia ad esistere. La fondamentale essenza degli esseri viventi è la vita.
In un definito insieme di proprietà ovviamente si potranno fare riferimenti a molteplici essenze, ma per tutto ciò che esiste ci sarà sempre un’essenza fondamentale che determina una specifica esistenza. Possiamo definire Aristotele come “il maestro di Alessandro III di Macedonia”, ma possiamo anche essere sicuri che, smettendo di insegnare ad Alessandro, Aristotele non smette di esistere. Spostiamoci rapidamente dalla Macedonia a Bielefeld. Qual’è l’essenza di Bielefeld, se Bielefeld esiste? Ognuno avrà una risposta diversa, i suoi cittadini, il suo territorio, i suoi edifici, la sua bellezza, i suoi parchi, le sue strade, la sua amministrazione, ed aggiungete quante altre risposte volete.
Ora proviamo un semplice esercizio mentale. Rimuovete dalla vostra idea di Bielefeld il contenuto della vostra risposta e verificate se con la sua sparizione sparisce anche Bielefeld. Non ho usato intenzionalmente il verbo esistere perché come si può presumere, ciò che non esiste non può smettere di esistere.
Fatto. Domande e risposte aspettano più avanti.
Rivolgiamo la nostra attenzione adesso alla teoria causale dei nomi propri. In essa la centralità appartiene all’aspetto funzionale del nome, ricordando che esso deve essere un rigido designatore per lo stesso oggetto in tutti i possibili mondi in cui quell’oggetto esiste e mai deve designare qualcos’altro. Questo tipo di corrispondenza non è biunivoca.
Torniamo a Roma per un attimo e consideriamo un periodo successivo alla morte di Romolo in cui l’estensione della città includesse tutti e setti i colli e non solo il Palatino. Né l’essere umano né lo spazio delimitato sono più gli stessi. L’oggetto dell’originale designazione non esiste più, ma la città continua a chiamarsi Roma. Ho utilizzato l’esempio di Roma per mostrare chiaramente che il nome continua ad essere presente nonostante che tutto ciò che ne determinava il suo essere originario abbia smesso di esistere. Notevoli cambiamenti, ampliamenti e riduzioni, ha subito il territorio di Roma lungo la sua storia e possiamo immaginare che, se per qualsiasi ragione, dovesse perdere il Colle Palatino come parte del suo territorio, anche solo amministrativamente, non si richiede alcuna violenta distruzione, Roma continuerebbe ad essere Roma. E da questo ragionamento capiamo che non è nemmeno il territorio a determinare una città. Si dice che tutte le strade portino a Roma, percorriamo quella giusta in senso opposto e ritorniamo a Bielefeld.
Cos’è allora Bielefeld? O raffinando la domanda secondo la visione della teoria causale, qual è la funzione del nome Bielefeld?
Quando si utilizza un nome proprio normalmente con esso ci si riferisce ad un oggetto specifico. Questo mostreremo che non vale nel caso dei nome propri di città. La funzione di un nome di città è tra quella di un pronome, utilizzato per indicare un insieme variabile di elementi o proprietà, e quella di un avverbio, simile a lì o qui, ma meno specifico, potremmo dire “approssimativamente qui” o “approssimativamente lì”. Per capire perché è meno specifico analizziamo un semplice esempio. “Gli abitanti di Bielefeld” - il referente di questa espressione è “le persone che più frequentemente o probabilmente si possono trovare in quello spazio che chiamo Bielefeld”. Gli abitanti di qualsiasi città a volte lavorano in un’altra città, a volte hanno casa in un’altra città, vanno in vacanze in un altra città, a volte semplicemente hanno la residenza, e a volte molti che vivono in una città non risultano abitanti di essa. Considerando questi casi, l’espressione “gli abitanti di Bielefeld” vagamente definisce elementi che dovrebbero trovarsi dentro uno spazio determinato e che invece potrebbero essere al di fuori di esso. Quando si dice “questo teatro qui” o “quel teatro lì” si percepisce e quindi almeno parzialmente si conosce ciò di cui si sta parlando. Quando si parla del “teatro di Bielefeld” si potrebbe parlare di qualcosa che non si è mai visto, che non si sa se esiste e del quale si potrebbe non avere alcuna conoscenza. Ancora oggi molti parlano di Atlantide, senza discernere se sia stato un luogo reale o una semplice invenzione letteraria del grande Platone. Credo che questi esempi mostrino chiaramente la vaghezza di significato dei nomi propri di città. Così come lì e qui non esistono poiché sono semplice segni che cambiano frequentemente di significato secondo le intenzioni di chi li usa, allo stesso modo i nomi di città non esistono, poiché potremmo considerarli dei sottoinsiemi degli insiemi “lì” e “qui”.
Prima di continuare con la vera sostanza di questa dimostrazione vorrei divagare brevemente con una piccola diversione peri-teologica. Supponiamo che le città esistano. È facile credere che città come Bielefeld, Roma, Parigi esistano, essendo ben sicuri che esse siano presenti là dove si trovano, disponibili alla prova dei sensi di ognuno. Valutiamo adesso qualche caso un può più complesso, sempre supponendo che le città esistano. Bisanzio esisteva, Costantinopoli pure, ma qualcuno pensa che esistano ancora oggi, o è Istanbul ad esistere? Ilion/Τροία esiste? Desterro esiste? Königsberg esiste o esiste Kaliningrad? Königsberg e Kaliningrad non possono riferirsi alle stesse cose materiali ed esistere entrambe. Analizziamo meglio quest’ultimo esempio. Le descrizioni delle due città non possono essere le stesse. Le proprietà che le caratterizzano sono diverse, la prima era una città prussiana, l’altra russa, gli abitanti ovviamente non sono gli stessi, poche cose vengono condivise dalle due città, perché la prima è stata notevolmente distrutta durante una delle troppe e troppo stupide guerre. I due nomi non possono riferirsi alla stessa cosa o, meglio, allo stesso insieme di cose. Le due città sono due città diverse e o non esiste nessuna delle due o una ha smesso di esistere e ha cominciato ad esistere l’altra, perché una proprietà della materia è quella della impenetrabilità per cui due corpi, o parti di essi, non possono contemporaneamente occupare la stessa porzione di spazio.
Ancora supponendo che le città esistano e mettendo da parte la loro inesistenza, già sapendo che quando muta la sua definizione l’oggetto di riferimento è chiaramente diverso, e non si può continuare ad affermarne l’esistenza, analizziamo qualche esempio ancora più particolare: le città di Giarre e Riposto, i luoghi dove ho perduto gli anni della mia gioventù, erano state separate nel 1841 e poi furono riunite in una nuova città chiamata Ionia per alcuni anni, per poi essere nuovamente separate; Thessaloniki nell’antica Macedonia divenne Selanik nell’impero Ottomano per por tornare Thessaloniki in Grecia; Oslo in Norvegia fu rinominata Christiania quando fu ricostruita dopo un incendio nel 1624 per poi ritornare ad essere chiamata Oslo; Saint Petersburg divenne Petrograd, poi Leningrad, poi nuovamente Saint Petersburg. È l’odierna Thessaloniki la stessa Thessaloniki? È Oslo la stessa nonostante sia stata distrutta e ricostruita? Christiania era differente sia nella materia che nello spazio. Se ammettessimo che una città possa esistere, smettere di esistere, essere sostituita nel suo stesso spazio da un’altra città, e poi infine tornare nuovamente ad esistere, staremmo in pratica ammettendo la resurrezione delle città. E nessun ente esistente, dopo la fine della sua esistenza, può ricominciare ad esistere come lo stesso ente. Può di certo trasformarsi ed essere un ente diverso, ma non lo stesso. Se fosse lo stesso abbandoneremmo il campo della scienza ed entreremmo nell’ambito dei miracoli e dovremmo chiedere il parere dei teologi riguardo a questo tipo di resurrezione, considerando che Saint Petersburg risorge e Christiania no, potrebbero esserci seri problemi.
Iniziamo adesso la parte più interessante di questa dimostrazione. Sono sicuro che tra chi legge ci siano ancora molti non totalmente convinti dell’inesistenza delle città. Probabilmente pensano che ho cercato di giocare con le parole, distrarli con nomi e significati mentre con un trucco, come in un gioco di prestigio, facevo sparire tutte le città del mondo. A loro che pensano che le città esistano perché sono fatte non di vane parole, ma di veri uomini, solidi mattoni, parchi stracolmi di flora e fauna, strade, parcheggi e ingorghi, servizi efficienti, indaffarate amministrazioni e bla bla bla, a loro che non vogliono accettare la verità, è dedicato il colpo di grazia all’esistenza delle città.
Analizzeremo ora le città come oggetti fisici, o meglio, come insiemi di oggetti fisici. Durante la sua evoluzione, una città può ingrandirsi, ridursi, aggregarsi ad altre città per formarne una maggiore, o disgregarsi in città più piccole, può essere distrutta e ricostruita, può essere abbandonata e ripopolata.
Immaginate ora una qualsiasi città, Bielefeld, ad esempio. Immaginatela con il maggior numero di dettagli possibile, case, piazze, persone, strade e ora iniziamo un piccolo esperimento. Se una persona di Bielefeld si spostasse a Berlino e lì iniziasse a vivere, questa persona inizierebbe ad essere parte della città di Berlino, non più di Bielefeld, ma Bielefeld continuerebbe ad essere Bielefeld. Lo stesso accadrebbe nel caso di una diaspora di tutti i cittadini e lo stesso accadrebbe se cominciassimo a spostare oggetti, una pietra, un albero, una casa, un quartiere. Bielefeld continuerebbe ad essere Bielefeld, ma fino a quando?
Adesso torniamo indietro e tentiamo qualcosa di più estremo. Ripensate alla vostra Bielefeld completa e immaginate sia possibile racchiudere in un contorno immaginario tutto ciò che fa parte di essa, tutte le case, tutte le strade, tutte le persone, tutti gli animali, tutte le piante, pure l’aria, il clima, le nuvole, tutto il suo suolo per metri e metri sottoterra, pure fino al centro della terra se vorrete, tutto ma proprio tutto, fino all’ultimo granello di polvere che pensiate sia parte della città. Ed ora immaginate sia possibile spostare tutto questo e metterlo da un’altra parte, magari sulla costa siciliana, tra il mare e l’Etna, al posto di Acireale della quale difficilmente si sentirebbe saudade, come dicono i brasiliani. Fermiamoci ad osservare il risultato di questo spostamento.
In Sicilia avremo tutto ciò che era presente a Bielefeld e non un atomo di meno, e là dove c’era Bielefeld c’è adesso uno spazio completamente vuoto. La città sulla costa siciliana è ancora Bielefeld? Bielefeld esisteva come materia e continua ad esistere, continuando ad esistere la sua materia? Credo proprio di no. Questa città non è più in Germania, non è più nella regione di Ostwestfalen-Lippe, si troverebbe ai piedi di un vulcano, la sua distanza da Primstal, da Berlino, da Parigi, sarebbe differente, e difficilmente ci si potrebbe andare in macchina senza prendere un traghetto, almeno per ora. Ci sarebbero ancora le case e le persone, ma tutte le relazioni e i significati di Bielefeld sarebbero adesso perduti e per chi la guardasse, ignaro dello spostamento avvenuto, potrebbe essere, senza offesa per Bielefeld, una nuova Acireale. Tutti i significati e le relazioni sono rimasti là dove c’è quel grande spazio vuoto e possiamo essere sicuri che nel vuoto assoluto non c’è esistenza. Se l’esistenza di Bielefeld fosse stata nella sua materia, la avrebbe portata con sé insieme ad essa, ma così non è stato, perché Bielefeld non è più la stessa Bielefeld. Si possono immaginare variazioni di questo spostamento. Immaginate che a Bielefeld si aggiunga una nuova parte di città, alcuni quartieri, e un instante dopo la sua aggregazione si sposti tutto il resto eccetto quella nuova parte. Delle due città qual è Bielefeld? La parte che è stata Bielefeld per secoli ed ora si trova in un altro luogo del mondo, o quella che è stata Bielefeld per solo un instante e si trova ancora dove Bielefeld è sempre stata?
Se prendessimo una pecora da un gregge e la spostassimo in un altro gregge la pecora sarebbe sempre sé stessa e continuerebbe ad esistere. Così se spostassimo un uomo, un libro o una casa o qualsiasi altro oggetto. Sia chiaro che le parti di Bielefeld considerate singolarmente continuano ad esistere tutte, ma una città non è un oggetto, è la relazione di un insieme di oggetti con un determinato spazio, cambiando lo spazio la relazione finisce. Dalle esistenze degli elementi distinti di un insieme di oggetti non deriva l’esistenza dell’insieme stesso. Mettendo un serpente sulla coda di un leone e una capra sulla sua schiena, non inizierà ad esistere una chimera. Lo spazio è tutta la realtà stessa ed è facile perderci all’interno di essa, per questo inventiamo dei metodi per orientarci. Una collezione di nomi come Bielefeld, un sistema di coordinate, longitudini e latitudini, una X sulla mappa, servono tutti allo stesso scopo. Anche se Bielefeld non esiste, chi la ama non deve preoccuparsi, rimuovendo la X dalla mappa del tesoro, non si rimuove il tesoro. Si deve solo scoprire dove trovarlo.
Così come l'inquisizione spagnola nessuno si aspettava questa inconfutabile dimostrazione. Lungo il corso di questa dimostrazione abbiamo compreso che Bielefeld e tutte le altre città non hanno un essenza da cui possa derivare l'esistenza, non esistono come nomi e non esistono nemmeno come materia, ma allora perché quando vediamo Bielefeld o un’altra qualsiasi città sappiamo che è una città?
Io amo le idee e proprio esse saranno l'oggetto di questo chiarimento finale. Le idee sono un identificativo mentale categorizzante gli oggetti e i concetti astratti, dimostrare che nessuna, alcune o tutte le idee esistono è fuori dallo scopo di questa dimostrazione, ma per fugare ogni dubbio dimostreremo che ciò che potrebbe essere chiamato idea di Bielefeld non può esistere.
Abbiamo già mostrato come la natura immensamente indefinita di una città la possa far variare da un perimetro scelto da un uomo fino alle città-stato o alle megalopoli o ancor di più, da un piccolo insieme di oggetti ed individui ad un grandissimo insieme di essi.
Così come non è possibile trovare l'essenza di una determinata città, non è possibile trovare un'idea che la rappresenti, perché le idee devono essere chiare e distinte, come giustamente affermò Descartes, e nulla può permetterci di distinguere chiaramente una città dall'altra se non il determinato spazio in cui ciascuna si trova, ma lo spazio è la cornice della materia, non parte d'essa, lo spazio è la realtà fisica, la totalità della realtà e molto di più, se fosse idea, sarebbe tutte le idee possibili, senza nessuna distinzione. Allora perché al vedere una qualsiasi città la riconosciamo come tale se non abbiamo un'idea con la quale identificarla?
Seguitemi ancora in un viaggio, partiamo dal centro di Bielefeld ed iniziamo ad allontanarci, osservando la realtà senza considerare le dimensioni spaziali, ammirando tutto quello che percepiamo ignorando grandezze e distanze. Vedremo case, strade, persone, parchi, altre case, altre strade, allontaniamoci ancora con il potere di continuare a vedere tutto, vedremo altre case, industrie, campi coltivati, altre strade, foreste, altri campi, e ancora case, e acqua, e alberi, e altre case, altre industrie, altri campi coltivati, persone, montagne, rocce, case, strade, case, sabbia, acqua, tanta acqua ma poi di nuovo sabbia, case, e poi di nuovo strade, campi, foreste, persone; spero di non dover andare avanti all’infinito per farvi capire che solo guardando qualcosa, così come si dovrebbe guardare, nella sua totalità, si può intendere il suo vero essere: il mondo è un’unica grande città.
Abbiamo distrutto l’idea di Bielefeld e di tutte le altre città ma non abbiamo distrutto l’idea di città in sé, questa, se le idee esistono, continua ad esistere. L’idea di insediamento umano, è più antica di Jericho, Aleppo, Ur o Uruk, essa nasce quando i primi esseri umani semplicemente smettono di sfruttare il mondo e incominciano a curare la terra per produrre da soli il proprio cibo con l’inizio dell’agricoltura. Questo grande passo dell’evoluzione degli essere umani forse potrebbe anche segnare l’inizio della loro vera esistenza come abitanti del pianeta, secondo la concezione heideggeriana per cui essa non è semplicemente esser gettati nel mondo, ma deriva dal prendersene cura. L’esistenza di tutti noi abitanti del mondo, se ancora questo non fosse abbastanza chiaro, è prenderci cura del mondo, o almeno questo dovrebbe essere, perché se non si cambierà rotta, presto l’umanità raggiungerà le sue immaginarie città nel dominio dell’inesistenza.
EPILOGO
Non posso prevedere come saranno accolti questi miei pensieri, espressi da parole in una lingua che certamente non padroneggio appieno. Ho potuto polire poco quest’opera e spero di non aver sacrificato né lo stile né la chiarezza.
L’era in cui viviamo non è l’era della ragione, e Francesco Petrarca vivendo oggi forse ridefinirebbe i secoli bui. Tra stupide reti di stupidi, analfabeti funzionali, teorie della cospirazione, terrapiattisti, negazionisti del cambiamento climatico, dei vaccini, della scienza e dell’intelligenza, il ragionare per amore della conoscenza sembra davvero fuori posto.
Credo fermamente che si debba trasformare ogni possibilità in necessità di migliorarci e migliorare il tutto, guidato da questo principio ho scritto questa dimostrazione non semplicemente con l’intento di dimostrare l’inesistenza di Bielefeld per porre fine a un vecchio scherzo e migliorare la mia vita nel farlo, ma anche per cercare di migliorare il mondo in cui tutti viviamo e se le parole che seguiranno faranno vedere il mondo diversamente anche ad una sola persona in più allora umilmente, ma non troppo umilmente, ci sarò riuscito.
Lo stupor mundi dalla Swabia delle sue origini brillò in Sicilia e forse è ora di ritornare a stupire il mondo.
Io sono Siciliano e sì lo specifico dopo aver detto che esiste una sola grande città, perché non mi riferisco alla Sicilia per la sua posizione geografica al centro di tutti i continenti, ma per la sua storia, la storia di una terra sempre conquistata, ma mai sconfitta, che da ogni invasione è riuscita a prendere sempre più di quello che le è stato sottratto: cultura. Appartengo all’unica razza che esiste la purissima ibrida razza umana.
Dall’uguale nulla si acquisisce, solo grazie al diverso possiamo superare noi stessi.
Io sono culturalmente siciliano, greco, africano, europeo, tedesco, arabo, francese, spagnolo, noetico e molto altro e quello che non sono voglio diventarlo, ascoltando, imparando, comprendendo, migliorando. E non voglio essere solo in questo cammino.
Io sono migrante, vivo da molti anni in Brasile con la mia amata moglie, molto lontano da quella parte di spazio dove sono nato. Per dare nutrimento anche agli affamati di romanticismo dirò che dal primo istante in cui ci siamo incontrati e baciati, io e lei non ci siamo separati, neanche per un giorno, al massimo per poche ore, dal primo istante ad oggi, credo che pochi nella storia del mondo siano stati così uniti. E insieme abbiamo deciso di migrare di nuovo perché giustizia, intelligenza e vita adesso non sono più benvenute in questo paese. Anche se volessimo però non potremmo trasferirci a Bielefeld e non perché essa non esiste, ma perché ci sono cose ben più assurde dell’inesistenza delle città. Io, essendo europeo, potrei vivere in Germania, ma mia moglie no, poiché pur essendo la nostra unione legalmente riconosciuta in Brasile non lo è in Europa. A rendere più assurdo tutto il fatto che mia moglie sia di origini tedesche, i suoi antenati noti per secoli hanno vissuto nella città di Mettnich, un’altra di quelle città che non ci sono più, in seguito alla sua unione con Mühlfeld è diventata Primstal. Mettnich un luogo a poco più di 300 chilometri da Bielefeld, posti dove secondo l’assurdità di alcune leggi umane lei non può abitare così come stanno le cose. Mi spiace poter migliorare Bielefeld solo da lontano, ma finché non sarà l’intelligenza a pervadere tutte le leggi, assurdità come questa saranno difficili da evitare, viviamo in un’epoca in cui le statiche merci sono mosse e hanno più diritti al movimento degli esseri umani che sin dalla loro genesi sempre furono migranti. Nulla mi ha separato neanche per un giorno da mia moglie e nulla lo farà finché riuscirò ad evitarlo.
Come Siciliano ho sempre sofferto il pregiudizio di chi mi chiedeva di dove fossi e al sentire la mia risposta aggiungeva, spesso ridendo, “mafia, mafioso”. Odio la mafia ed ogni male ed amo la giustizia ed ogni bene. Essere associato ad assassini e criminali di ogni sorta mi ha sempre ferito e fatto arrabbiare profondamente. Credo che parecchi tedeschi possano capire bene i miei sentimenti, soffrendo ancor oggi sulla propria pelle il terribile marchio del nazismo, essendo associati ad esso nonostante non ne fossero parte e nonostante lo disprezzino.
Infelicemente ci sono criminali ovunque nel mondo, non solo in Sicilia, e infelicemente ci sono più nazifascisti nel resto del mondo di quanti ce ne siano mai stati in Germania. Un nazifascista, non è un tedesco o un italiano, è lo stupido cattivo che crede in quelle cattive stupidaggini. Mafioso, criminale, non è un’allegra deduzione derivata dall’essere Siciliano. Criminale è chi commette crimini, chi fa male al mondo o agli esseri che in esso vivono e deve essere fermato e punito. Criminali non sono i migranti come me, perché muoversi non è logicamente un crimine, crimine è lasciare morire quando si potrebbe aiutare a vivere.
Chi pone discriminanti geografici prima, davanti a tutto il resto, pone il nulla, un limite immaginario prima di tutto il resto, prima della vita stessa. Chi lo fa lo fa sempre per perseguire un interesse egoistico che non è quello del Kosmos. Un interesse che conduce a scegliere il male per tutti gli altri pur di ricevere beni più grandi di tutti gli altri. La differenza tra make great again and make a great gain è solo un refuso.
Isole artificiali, case mobili, stazioni orbitanti, navi cariche di migliaia di persone, e insediamenti sottomarini o sotterranei o basi su altri pianeti: nel mondo tutto si trasforma, tutto si muove e non ci sono limiti segnati da un aratro.
Siamo tutti abitanti della stessa polis, dobbiamo prenderci cura d’essa e prenderci cura gli uni degli altri.
Provando l’inesistenza di Bielefeld e di tutte le altre città sono stati distrutti i limiti immaginari che ci separavano come umanità, ma solo questo non ci unisce. Ora che è caduto il limite tocca ad ognuno di noi riconoscere l’altro come simile, come parte del nostro proprio essere, dobbiamo volerlo, dobbiamo sceglierlo. E allora, sì, potremo vivere non in un mondo semplicemente migliorato ma davvero nel migliore dei mondi possibili.
Bielefeld, la prima città ad accettare la sua inesistenza sarà nell’avanguardia di questa rivoluzione.
Noi siamo le scelte che facciamo e non le contingenze delle nostre vite.